A chi non è mai capitato di partecipare a “rimpatriate” tra vecchi amici di scuola?
Basta essere iscritti ad un “social network” per ricevere il fatidico invito da parte del compagno di banco o del complice di “marinata” che non vedevamo da quasi trent’anni. Così, ci si rivede in tre o quattro, a volte anche di più, per passare una serata insieme.
Ma la moda del “vintage” che ha contagiato gli ultra-quarantenni di oggi non si può applicare anche alle persone. Bastano pochi minuti per rendersi conto che quell’ex-ragazzo che con te giocava a ping pong o studiava italiano, adesso è diventato un illustre sconosciuto: uno di cui non sai niente.
Ed i racconti di una vita, condensati in poche ore, non fanno che acuire questa sensazione: “Ma come proprio tu hai fatto questo?”. Naturalmente, anche gli altri provano le nostre stesse emozioni, anche se difficilmente ce ne rendiamo conto, impegnati come siamo a riflettere sulla nostra vita passata ed a rivederla in rapidi flashback. L'esito di questi incontri rimane aperto ed imprevedibile: ci rivedremo ancora? Ci terremo in contatto?
L’argomento è stato oggetto di numerose descrizioni artistiche. Al cinema cominciò Laurence Kasdan col mitico “Il Grande Freddo” e, in Italia, il filone è stato seguito da Gabriele Salvatores con “Marrakech Express” e da Carlo Verdone con “Compagni di Scuola” . Ma la descrizione più autentica, vera e “mediterranea” si trova in un libro di Gianrico Carofiglio: “Né qui, né altrove – Una notte a Bari”. Sembra di essere là.
(di Angelo) - L'Angolino - venerdì 12 febbraio 2010
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