giovedì 8 gennaio 2009

IL MITO DEL «CHE»

Ma nulla e nessuno colpi l'immaginazione dei giovani come il personaggio di Ernesto Guevara, detto il «Che». Argentino, nato nel 1928 da Ernesto Guevara Linch (figlio di un'irlandese) e da Cella de La Serna, laureato in medicina a Buenos Aires nel 1953, il «Che» aveva cominciato a costruire la sua leggenda nel 1955, quando si era arruolato nel corpo rivoluzionario cubano di Fidel Castro. Arrestato, liberato, ferito in battaglia, il 31 dicembre 1958 vinse la battaglia (decisiva) di Santa Clara, costringendo alla fuga il leader cubano Batista. Era la vittoria della rivoluzione castrista, e il «Che» divenne prima cittadino cubano, poi ambasciatore, poi capo del dipartimento dell'industrializzazione dell'istituto per la riforma agraria, quindi presidente del Banco Nacional, infine ministro dell'Industria. Ma anziché godersi poltrone e successo, Che Guevara continuò il suo sogno di rivoluzionario al servizio non di una patria, ma di un'idea: e girò il mondo che riteneva oppresso, dall'America Latina all'Algeria, per organizzare guerriglie e rivolte. L'8 ottobre 1967 venne ferito e catturato in Bolivia, il cui governo era andato, appunto, a combattere. Interrogato, si rifiutò di rispondere. Il giorno dopo, 9 ottobre 1967, alle 13.10 il sergente Mario Teran lo uccise con una raffica di mitra. Come sempre, morto l'uomo nacque il mito. «Perché ci piaceva tanto, perché ci piaceva più di tutti?» ha scritto Massimo Fini. «Perché il "Che", con i suoi ideali, con il suo agire totalmente disinteressato, nobilitava e mascherava alcune inconfessabili pulsioni della mia generazione: la voglia di violenza, la voglia di guerra. (...) Noi, come tutti i giovani, amavamo la violenza, rimpiangevamo la guerra, anche se non potevamo dirlo nemmeno a noi stessi. E il "Che" legittimava se non la guerra perlomeno la guerriglia, se non le armi almeno i bastoni e i cubetti di porfido.» Naturalmente Che Guevara piaceva molto meno alla sinistra ortodossa, quella del Partito comunista e del socialismo reale. Che Guevara era per loro un rompiscatole che avrebbe messo in discussione anche lo status quo raggiunto dopo la rivoluzione, un teorico della trotzkiana «rivolta permanente», un personaggio difficilmente addomesticabile (continua)

Michele BRAMBILLA (Dieci anni di illusioni. Storia del Sessantotto - Rizzoli - 1994)

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