Più di due mesi fa, su questo stesso blog, pubblicai un post dal titolo “Le domande che non avrei voluto fare“. L’occasione era scaturita da una serie di notizie diramate dai mezzi di informazione: una dichiarazione di Giuseppe Ayala riguardante le scorte dei magistrati e in particolare dei magistrati di Palermo, che secondo Ayala andavano rivisitate a causa della diminuita pericolosità di Cosa Nostra, che “da oltre 18 anni non uccide più“. Nella sua replica, il presidente della giunta Anm di Palermo, Nino di Matteo, manifestava le sue perplessità relativamente a questa dichiarazione che riteneva, giustamente, “fuori luogo e fuori tempo“. La contro-replica di Ayala che, con la supponenza che gli è consueta, definiva Di Matteo – uno dei magistrati più impegnati nelle nuove inchieste della Procura di Palermo sulla “trattativa” che probabilmente fu la causa scatenante della strage di Via D’Amelio, e pertanto uno dei magistrati più a rischio – “un collega che ha cominciato a muovere i primi passi da magistrato soltanto nel 1993“, quando cioè Ayala aveva già abbandonato, ma solo temporeamente, la toga per dedicarsi ad una più agiata vita da parlamentare. Tranne poi a rispolverare la toga stessa scuotendone la polvere accumulata in ben quattro legislature, due alla Camera e due al Senato, approdando dal Partito Repubblicano Italiano ad Alleanza Democratica e infine ai Democratici di Sinistra (continua)
Salvatore Borsellino (Il Fatto Quotidiano - 7 dicembre 2010)
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