venerdì 21 agosto 2009

Aldo Moro: Discorso alla Camera sullo scandalo Lockheed (11 marzo 1977)

MORO ALDO. Signor Presidente, onorevoli senatori, onorevoli deputati, il mio compito è grandemente facilitato dalle molte cose illuminanti che sono state già dette. Io posso largamente rinviare ai tanti brillanti contributi che hanno chiarito quello che, per la tranquillità della nostra coscienza, meritava di essere messo a fuoco. Ringrazio questi colleghi ed anche quelli dell'opposto schieramento, per gli spunti che mi hanno offerto per una ragionevole ricostruzione. Siamo tutti consapevoli - io credo - della grande responsabilità che ricade su di noi in questo momento. Il Parlamento italiano - ed anche questo Parlamento - si è trovato dinanzi a decisioni importanti, a scelte controverse: in quelle circostanze l'opinione pubblica, sovente distratta, si è appuntata fortemente su di noi e ci ha giudicato per quello che abbiamo fatto, per il modo con il quale abbiamo trattato temi di autentico rilievo nazionale. Ebbene, il sì o il no che stiamo per dire, non è certo meno impegnativo. Non per nulla siamo radunati in seduta comune per un dibattito prima che per un voto; non per nulla stiamo per porre termine ad un lungo periodo di incertezze e di polemiche; non per nulla stiamo per compiere in un certo modo, in una certa fase, opera di giustizia. Una volta tanto non siamo legislatori, ma giudici, intendo giudici non in senso tecnico-giuridico, ma politico; e la valutazione che cade su di noi non riguarda una dichiarazione astratta di giustizia ma una attuazione concreta di essa. Stiamo infatti per emettere nella sostanza un verdetto (non discuto ora, semmai lo farò dopo, se sia bene o male che un tale compito ci venga affidato, venga conferito a noi, organo squisitamente politico e non ad altri); constato semplicemente il fatto di non sapere se noi, se l'inquirente, della quale - accettando o rifiutando - portiamo a termine l'iniziativa, possiamo essere assimilati in senso stretto agli uffici di un pubblico ministero o ad altro ancora. So con certezza, e sento acutamente, che siamo chiamati a mettere, ovvero a non mettere, in stato di accusa dei cittadini, siano o non siano essi ministri; a queste persone la condizione di accusati - se a tanto si deve arrivare - deriverà dalla nostra decisione, mentre per altri nelle medesime circostanze scaturisce da un atto della magistratura (continua)


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