La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi. Potete respingere, non riportare indietro, è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata”. All’una del pomeriggio, quando il sole picchia forte sul ponte di poppa della “Majestic”, Katia legge al megafono le parole di Erri De Luca. Il popolo degli “sbarchini” applaude, c’è anche chi si commuove in questo momento in cui – per la prima volta a metà della navigazione – ci si ritrova tutti insieme. Per commemorare i caduti in mare, per ricordare chi ha tentato invano di sfuggire alla miseria del Maghreb o dell’Africa sub-sahariana cercando fortuna in Europa. Ma anche per denunciare, attraverso un viaggio simbolico di ritorno verso l’Italia che hanno lasciato da anni, il declino di un paese in preda alla corruzione, al malaffare, al clientelismo, all’intolleranza, persino alla xenofobia. Italiani emigrati, non più per pura necessità di sopravvivenza, come avveniva per i nostri padri: ma anche chi è partito inseguendo semplicemente un’occasione professionale, alla fine ammette che la distanza invita alla riflessione, ti spinge a vedere con maggiore distacco le storture del sistema (continua)
Cervelli in fuga | di Alessandro Oppes (Il Fatto Quotidiano - 27 giugno 2010)
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