Quell’antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma,
secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro
il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere,
si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso
andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice
poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del
genere dei plantigradi, detti tassi (continua)
Achille Campanile
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