Durante la guerra del Vietnam, le reti televisive americane andarono ad Hanoi a intervistare Ho Chi Minh. Qualche settimana fa, nel momento più acuto della crisi con la Libia, Ted Koppel, uno dei più prestigiosi giornalisti dalla «Abc», si è collegato con Tripoli, e ha dato la parola al colonnello. Nel mio piccolo, ho fatto altrettanto: convinto, come sono, che «la completezza dell’informazione» non deve essere soltanto una formula demagogica ma, nei limiti del possibile, un impegno costante dell’onesto cronista. Gheddafi mi ha ricevuto con cortesia, e ha accettato le mie domande e le mie obiezioni, che io ho registrato lealmente, senza apportare tagli, o aggiustamenti. Alle due del pomeriggio, molto prima che accadessero i fatti di Lampedusa, il direttore del Tg1, Albino Longhi, mi ha informato che, per disposizione del dottor Biagio Agnes, sommo dirigente di viale Mazzini, il programma «Spot» non sarebbe andato in onda; era previsto un prolungamento del Telegiornale: nel quale, caso strano, non poteva entrare il mio colloquio con il capo della Jamahirya. Se ne poteva riparlare, magari più avanti, o in altre circostanze. Nessun chiarimento: e intanto la Rai presentava la trasmissione, nelle sedi di Roma e di Milano, ai corrispondenti stranieri e ai redattori dei nostri quotidiani. Il testo veniva diffuso integralmente dall’Ansa, i grandi «networks» degli USA chiedevano il nastro per trasmetterlo. Non so se sono stati accontentati. Questa storia non è importante perché mi ci trovo dentro, ma suscita qualche considerazione di carattere generale. Penso di aver fatto con correttezza il mio lavoro, e sono convinto che tutti i miei colleghi dei paesi considerati democratici si sarebbero comportati nella stessa maniera. Mi chiedo chi poteva avere interesse a impedire la diffusione di quelle riprese, senza averle viste, senza neppure sapere che cosa raccontavano. Palazzo Chigi ha smentito qualunque intervento; dicono che c’era invece un ministro preoccupato: delle sue azioni, o delle mie parole, o di quelle del leader arabo? L’ordine pubblico era forse minacciato? Ma chi deve decidere ciò che gli italiani possono leggere, ascoltare, o vedere? Il dottor Agnes, e chi guida la polizia, faccio una ipotesi, e quelli del tavolone, erano tutti daccordo? Ma non è più saggio preoccuparsi dei terroristi che dei fotogrammi? Si dice che il più «prudente» degli intervenuti sia stato il socialdemocratico onorevole Nicolazzi: è nel suo carattere. Sono anni che è indeciso su come sistemare il problema dell’edilizia. Uno che è d’accordo col vertice della Tv pubblica è l’onorevole Bodrato, che parla senza sapere quello che dice: il divieto è stato messo in atto prima che fossero sparati i due colpi fatali. O è un profeta oppure scegliete voi. Milioni di spettatori hanno atteso - mi regolo su indici di ascolto ufficiali - «Spot», senza che qualcuno si prendesse il disturbo di avvertirli che era saltato. Io sono un vecchio del mestiere, e ritengo di meritare il rispetto che si deve alle persone che, come minimo, agiscono in buona fede. E uno che una vicenda come questa ha corso forse anche questo rischio, e mi era dovuta una spíegazione. Ma come fa Cossiga a proclamare che «è preferibile un eccesso di libertà piuttosto che un difetto quando in questa Repubblica fondata sul lavoro sulla lottizzazione, le «veline» stanno diventando una regola, e quello che più conta non è la presumibile verità, ma la superiore disposizione? E chi ha detto che la censura è stata abolita? Qui non si controlla neppure: si comanda, e con arroganza. Io invidio Piero Angela, perché è tanto bravo e perché si occupa di castori, di maree, di atomi, bacarozzi, della natura e della scienza, che sono protagonisti splendidi e crudeli, meravigliosi e meschini, ma non rientrano nella logica dei partitici potenti. Mi sono illuso che si potesse far qualcosa, sui teleschermi, anche con le trame degli uomini, buoni cattivi, generosi e miseri, e delle loro avventure non mi sento giudice, ma testimone, e qualche volta complice. Errore: nella Tv di Stato non si esce, questo mi suggeriscono le ultime esperienze, dalla strategia della tavola rotonda: due battute a testa, moderatore, ed ecco il consueto minuetto, con primi piani dei soliti nomi, convocati, come sempre, per l’emergenza.
Di questo mediocre dramma, tutto ciò che più mi ha colpito, e vorrei si credesse alla mia sincerità, è il disprezzo per la gente. Alla quale si nega un servizio, cioè il diritto di sapere cosa dicono anche quelli che non la pensano come noi, ricorrendo a giustificazioni offensive: è un eccesso di presunzione considerare tutti gli altri dei cretini. Non è generoso, soprattutto per dei cristiani a denominazione controllata: non dovrebbero dimenticare che, in ogni modo, siamo tutti fratelli.
Tratto dal libro "Il Fatto" di Enzo Biagi
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