Agli inizi degli anni ottanta lavoravo a Ravenna e qui c’era un collega di mezz’età, dai capelli rossicci, che quando m’incontrava esternava sempre considerazioni contro i terroni, le più svariate, camuffandole talvolta a mò di battuta in presenza di altri colleghi indigeni. Dopo qualche tempo constatai che veramente si trattava di un bonario “leghista ante litteram”. Un’altra sua abitudine era quella di raccontarmi delle barzellette - sempre a sfondo razzista - e la cosa che lo lasciava esterrefatto era che, se la barzelletta era buona, io reagivo ridendo di cuore. Capitò che arrivò, finalmente per me, il sospirato trasferimento in Sicilia e mi accinsi ai saluti di commiato. Lui mi affrontò in modo serio dicendomi: “in tutto questo periodo tu mi hai preso per il c…, in fondo non sei un meridionale puro, sicuramente qualcuno dei tuoi antenati non era del sud d’Italia”; gli assicurai che si sbagliava, ma sapevo che in cuor suo restava fortemente convinto della sua ragione.
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