In una delle sue Epistulae familiares, Francesco Petrarca detta le condizioni che esige dal suo lettore. Dico «esige» perché questo è il tono, che definirei imperativo, né c'è da meravigliarsi. I libri costituivano la vera passione del poeta («librorum avidum»), sempre molto severo con tutti dal punto di vista professionale, a cominciare da se stesso. Per quel che riguarda i libri la sua volontà suona così:
Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi solo a me e non stia a pensare alle nozze della figlia, alla notte che ha passato con l'amante, alle trame dei suoi nemici, alla causa in tribunale, alla terra o ai soldi, e almeno mentre legge voglio che sia solo con me.
Mi piace moltissimo questa pretesa così «professionale» che, del resto, il poeta giustifica subito dopo, precisandone le ragioni:
Io non voglio che nello stesso tempo faccia i suoi affari e studi, non voglio che si impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto (continua)
Corrado Augias (Leggere - Mondadori 2007)
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