“Il caos economico della società capitalistica nella sua forma attuale è, secondo la mia opinione, la vera causa del male.
Ci avvertiamo innanzitutto come un’enorme comunità di produttori i cui membri cercano incessantemente di defraudarsi reciprocamente dei frutti del lavoro comune, non necessariamente tramite la forza, ma alla fin fine tramite la complicità delle leggi.
Da questo punto di vista, è fondamentale comprendere che i mezzi di produzione – in altri termini l’intera capacità produttiva necessaria sia alla produzione dei beni di consumo sia alla produzione di tutto il resto – possono in virtù della legge essere, e solitamente lo sono, proprietà privata di determinati individui.
Per semplicità, nella discussione seguente chiamerò “lavoratori” tutti coloro che sono esclusi dalla proprietà dei mezzi di produzione, anche se ciò non è affatto l’uso comune di tale termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è nella posizione di comprare la forza lavoro del lavoratore. Utilizzando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuovi beni che passano nella proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e ciò che gli viene pagato – sia l’uno sia l’altro misurati in termini di valore reale.
Per quanto il contratto di lavoro possa essere “libero”, ciò che il lavoratore riceve è determinato non dal valore reale dei beni che ha prodotto, ma, da un lato, dai propri bisogni minimali, dall’altro, dalla richiesta di forza lavoro da parte dei capitalisti in relazione al numero di lavoratori in concorrenza per l’impiego. È’ fondamentale comprendere che, anche in teoria, la paga del lavoratore non è determinato dal valore del suo lavoro.
Il capitale privato tende ad essere concentrato in poche mani, in parte a causa della competizione tra i capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro spingono alla formazione di più grandi unità produttive a spese di quelle più piccole. Il risultato di tali dinamiche consiste in un’oligarchia del capitale privato, il cui enorme potere non può ragionevolmente essere controllato nemmeno da una società organizzata politicamente in forma democratica. Questo è vero finché i membri del potere legislativo sono selezionati da partiti politici in larga misura finanziati o comunque influenzati dai capitalisti privati che, per motivi di praticità, separano l’elettorato dalla legislatura. Di conseguenza, i rappresentanti del popolo, di fatto, non proteggono sufficientemente gli interessi dei settori popolari soggiogati dai privilegi dei pochi. Inoltre, nelle attuali condizioni è inevitabile che i capitalisti privati controllino, direttamente o indirettamente, le principali forme della comunicazione (stampa, radio, educazione…). Davvero è estremamente difficile, anzi nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, per il singolo cittadino raggiungere conclusioni valide e far uso con intelligenza dei suoi diritti politici.
La situazione in un’economia fondata sulla proprietà privata del capitale e così normalmente caratterizzatala due fattori basilari:
1. i mezzi di produzione (capitale) sono posseduti in forma privata ed i detentori ne dispongono a loro arbitrio;
2. il contratto di lavoro è libero.
Ovviamente non esiste una società capitalistica pura. In particolare, va osservato che i lavoratori, tramite lunghe e dolorose lotte, sono giunti a conquistare per certe categorie di lavoratori una forma in qualche modo migliorata del “libero contratto di lavoro”.
Nel complesso, però, l’economia odierna non differisce molto dal capitalismo “puro”. La produzione è diretta in base al profitto, non in base alla sua utilità. Non c’è alcuna garanzia che tutti quelli abili e disponibili a lavorare saranno sempre in grado di trovare un impiego; la norma è anzi quella che vede un numeroso esercito di disoccupati. Il lavoratore vive costantemente con addosso la paura di perdere il lavoro.
Quando lavoratori disoccupati e malpagati non riescono più a garantire un mercato in grado di dare profitti, la produzione dei beni di consumo diminuisce con la conseguenza di un’enorme miseria generale.
Il progresso tecnologico pressoché sempre sfocia in un aumento della disoccupazione, invece che in un alleggerimento del carico di lavoro per tutti.
L’obiettivo del profitto, insieme con la competizione tra i capitalisti, è la responsabile dell’instabilità nell’accumulazione e nell’utilizzazione del capitale la quale conduce ad una dura e crescente depressione. La sfrenata competizione comporta un enorme spreco di forze produttive ed a quel deperimento della coscienza sociale che ho menzionato in precedenza. Considero questo mancato sviluppo degli individui il male peggiore del capitalismo.
Il nostro intero sistema educativo soffre di questo male. Viene inculcata nello studente un’esagerata predisposizione alla competizione, che è addestrato nel culto del successo economico come preparazione per la sua vita futura. Sono convinto che esista una sola strada per eliminare questi gravi mali, vale a dire l’affermazione di un’economia socialista accompagnato da un sistema educativo orientato a fini sociali.
In una tale economia i mezzi di produzione sono posseduti dalla collettività e da essa utilizzati in modo pianificato.
Un’economia pianificata che regoli la produzione in base ai bisogni della comunità distribuirebbe il lavoro necessario tra tutti quelli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza ad ogni uomo, donna e bambino.
L’educazione dell’individuo, oltre a favorire lo sviluppo del sue innate capacità, tenderebbe a sviluppare in lui un senso di responsabilità verso i propri simili al posto della esaltazione del potere politico ed economico presente nella nostra attuale società. Va tuttavia ricordato che un’economia pianificata non è ancora il socialismo.
Un’economia pianificata in quanto tale può essere congiunta al completo asservimento dell’individuo.
Il raggiungimento del socialismo comporta la soluzione di alcuni problemi sociali e politici molto difficili: come impedire, data la necessità della centralizzazione, alla burocrazia di divenire onnipotente e prepotente?
Come proteggere i diritti dell’individuo ed in più assicurare un contrappeso democratico al potere della burocrazia?
Chiarire questi problemi del socialismo è di fondamentale importanza nella nostra epoca di transizione”
Ci avvertiamo innanzitutto come un’enorme comunità di produttori i cui membri cercano incessantemente di defraudarsi reciprocamente dei frutti del lavoro comune, non necessariamente tramite la forza, ma alla fin fine tramite la complicità delle leggi.
Da questo punto di vista, è fondamentale comprendere che i mezzi di produzione – in altri termini l’intera capacità produttiva necessaria sia alla produzione dei beni di consumo sia alla produzione di tutto il resto – possono in virtù della legge essere, e solitamente lo sono, proprietà privata di determinati individui.
Per semplicità, nella discussione seguente chiamerò “lavoratori” tutti coloro che sono esclusi dalla proprietà dei mezzi di produzione, anche se ciò non è affatto l’uso comune di tale termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è nella posizione di comprare la forza lavoro del lavoratore. Utilizzando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuovi beni che passano nella proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e ciò che gli viene pagato – sia l’uno sia l’altro misurati in termini di valore reale.
Per quanto il contratto di lavoro possa essere “libero”, ciò che il lavoratore riceve è determinato non dal valore reale dei beni che ha prodotto, ma, da un lato, dai propri bisogni minimali, dall’altro, dalla richiesta di forza lavoro da parte dei capitalisti in relazione al numero di lavoratori in concorrenza per l’impiego. È’ fondamentale comprendere che, anche in teoria, la paga del lavoratore non è determinato dal valore del suo lavoro.
Il capitale privato tende ad essere concentrato in poche mani, in parte a causa della competizione tra i capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro spingono alla formazione di più grandi unità produttive a spese di quelle più piccole. Il risultato di tali dinamiche consiste in un’oligarchia del capitale privato, il cui enorme potere non può ragionevolmente essere controllato nemmeno da una società organizzata politicamente in forma democratica. Questo è vero finché i membri del potere legislativo sono selezionati da partiti politici in larga misura finanziati o comunque influenzati dai capitalisti privati che, per motivi di praticità, separano l’elettorato dalla legislatura. Di conseguenza, i rappresentanti del popolo, di fatto, non proteggono sufficientemente gli interessi dei settori popolari soggiogati dai privilegi dei pochi. Inoltre, nelle attuali condizioni è inevitabile che i capitalisti privati controllino, direttamente o indirettamente, le principali forme della comunicazione (stampa, radio, educazione…). Davvero è estremamente difficile, anzi nella maggior parte dei casi del tutto impossibile, per il singolo cittadino raggiungere conclusioni valide e far uso con intelligenza dei suoi diritti politici.
La situazione in un’economia fondata sulla proprietà privata del capitale e così normalmente caratterizzatala due fattori basilari:
1. i mezzi di produzione (capitale) sono posseduti in forma privata ed i detentori ne dispongono a loro arbitrio;
2. il contratto di lavoro è libero.
Ovviamente non esiste una società capitalistica pura. In particolare, va osservato che i lavoratori, tramite lunghe e dolorose lotte, sono giunti a conquistare per certe categorie di lavoratori una forma in qualche modo migliorata del “libero contratto di lavoro”.
Nel complesso, però, l’economia odierna non differisce molto dal capitalismo “puro”. La produzione è diretta in base al profitto, non in base alla sua utilità. Non c’è alcuna garanzia che tutti quelli abili e disponibili a lavorare saranno sempre in grado di trovare un impiego; la norma è anzi quella che vede un numeroso esercito di disoccupati. Il lavoratore vive costantemente con addosso la paura di perdere il lavoro.
Quando lavoratori disoccupati e malpagati non riescono più a garantire un mercato in grado di dare profitti, la produzione dei beni di consumo diminuisce con la conseguenza di un’enorme miseria generale.
Il progresso tecnologico pressoché sempre sfocia in un aumento della disoccupazione, invece che in un alleggerimento del carico di lavoro per tutti.
L’obiettivo del profitto, insieme con la competizione tra i capitalisti, è la responsabile dell’instabilità nell’accumulazione e nell’utilizzazione del capitale la quale conduce ad una dura e crescente depressione. La sfrenata competizione comporta un enorme spreco di forze produttive ed a quel deperimento della coscienza sociale che ho menzionato in precedenza. Considero questo mancato sviluppo degli individui il male peggiore del capitalismo.
Il nostro intero sistema educativo soffre di questo male. Viene inculcata nello studente un’esagerata predisposizione alla competizione, che è addestrato nel culto del successo economico come preparazione per la sua vita futura. Sono convinto che esista una sola strada per eliminare questi gravi mali, vale a dire l’affermazione di un’economia socialista accompagnato da un sistema educativo orientato a fini sociali.
In una tale economia i mezzi di produzione sono posseduti dalla collettività e da essa utilizzati in modo pianificato.
Un’economia pianificata che regoli la produzione in base ai bisogni della comunità distribuirebbe il lavoro necessario tra tutti quelli abili al lavoro e garantirebbe i mezzi di sussistenza ad ogni uomo, donna e bambino.
L’educazione dell’individuo, oltre a favorire lo sviluppo del sue innate capacità, tenderebbe a sviluppare in lui un senso di responsabilità verso i propri simili al posto della esaltazione del potere politico ed economico presente nella nostra attuale società. Va tuttavia ricordato che un’economia pianificata non è ancora il socialismo.
Un’economia pianificata in quanto tale può essere congiunta al completo asservimento dell’individuo.
Il raggiungimento del socialismo comporta la soluzione di alcuni problemi sociali e politici molto difficili: come impedire, data la necessità della centralizzazione, alla burocrazia di divenire onnipotente e prepotente?
Come proteggere i diritti dell’individuo ed in più assicurare un contrappeso democratico al potere della burocrazia?
Chiarire questi problemi del socialismo è di fondamentale importanza nella nostra epoca di transizione”
Tratto da: Perché il Socialismo? (A.Einstein) - www.portadimassa.net
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