martedì 30 giugno 2009

Vedere senza esser visti. Una superbia divina.


Platone dice che “se uno, con la parte migliore del suo occhio (la pupilla) guarda la parte migliore dell’occhio dell’altro, vede se stesso”. Questo riconoscimento, reso possibile dal reciproco incontro degli sguardi, oggi è in qualche modo impedito dall’uso sempre più diffuso degli occhiali da sole, grazie ai quali, chi li porta può vedere senza essere visto. Una prerogativa questa che gli uomini hanno sempre temuto, e come tutte le cose temute e scongiurate, hanno espulso dalle pratiche della loro vita comunitaria e attribuito alla divinità che, col suo occhio, vede senza essere vista. Nel primo libro della Bibbia leggiamo che Adamo ed Eva si aggiravano nel Paradiso terrestre in ingenua nudità, ma non appena gustarono il pomo dell’albero proibito “s’accorsero di essere nudi e ne provarono vergogna” (Genesi 3,7). È una vergogna che non nasce dalla nudità del loro corpo, ma dallo sguardo di Dio che li “mette a nudo” (continua)


Umberto Galimberti (La Repubblica, 30 aprile 2006)

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