sabato 15 dicembre 2007

Avere e consumare.

Incorporare una cosa, ad esempio mangiando o bevendo, costituisce una forma arcaica di possesso della cosa stessa. In una certa fase del suo sviluppo, il bambino mostra la tendenza a mettersi in bocca le cose che desidera; si tratta della forma infantile di presa di possesso, che si manifesta allorché lo sviluppo fisico del bambino non è ancora sufficiente a permettergli altre forme di controllo di quei possessi. Lo stesso rapporto tra incorporazione e possesso è reperibile in molte forme di cannibalismo. A esempio, divorando un altro essere umano ne acquisisco i poteri (per tale motivo, il cannibalismo può essere l'equivalente magico dell'acquisizione di schiavi); mangiando il cuore di un uomo valoroso, ne acquisisco il coraggio; mangiando un animale totemico, faccio mia la sostanza divina simboleggiata dall'animale totemico stesso. Com'è ovvio, la stragrande maggioranza degli oggetti non possono venire fisicamente incorporati (e, nella misura in cui potrebbero esserlo, andrebbero nuovamente perduti in seguito al processo di eliminazione). Ci sono però anche incorporazioni simboliche e magiche. Se credo di aver incorporato l'immagine di un dio, di un padre o di un animale, essa non può né essermi portata via né eliminata; inghiotto simbolicamente l'oggetto e credo nella sua presenza simbolica dentro di me. È, così, per fare un esempio, che Freud spiegava il Super-io: quale introiettata somma totale delle proibizioni e comandamenti del padre. Un'autorità, un'istituzione, un'idea, un'immagine, possono essere introiettate allo stesso modo: io le ho, per sempre protette e difese, per così dire, nelle mie viscere. (« Introiezione » e « identificazione » sono spesso usati come sinonimi, ma è difficile stabilire se costituiscono davvero lo stesso processo. Comunque sia, non si dovrebbe usare a casaccio il termine « identificazione », laddove sarebbe più opportuno parlare di imitazione o subordinazione). Si danno molte altre forme di incorporazione che non sono collegate a bisogni filosofici e pertanto non sono limitate. L'atteggiamento implicito nel consumismo è quello dell'inghiottimento del mondo intero. Il consumatore è un eterno lattante che strilla per avere il poppatoio: una condizione che assume ovvia evidenza in fenomeni patologici come l'alcolismo e l'assuefazione alle droghe. A quanto sembra, isoliamo entrambe queste due forme di tossicomania perché i loro effetti interferiscono con i doveri sociali della persona che ne è affetta. Il tabagismo non è allo stesso modo effetto di censura perché, pur essendo anch'esso una tossicomania, non ostacola le funzioni sociali del fumatore, ma ha effetti, eventualmente, « soltanto » sulla durata della sua esistenza. Più avanti, ci occuperemo ancora delle molte forme di consumismo quotidiano; qui, mi limito a rilevare che, per quanto riguarda il tempo libero, automobili, televisione, viaggi e sesso costituiscono i principali oggetti dell'odierno consumismo; ne parliamo come di attività del tempo libero, ma faremmo meglio a definirle passività del tempo libero. Per riassumere: consumare è una forma dell'avere, forse quella di maggior momento per l'odierna società industriale opulenta. Il consumo ha caratteristiche ambivalenti: placa l'ansia, perché ciò che uno ha non può essergli ripreso; ma impone anche che il consumatore consumi sempre di più, dal momento che il consumo precedente ben presto perde il proprio carattere gratificante. I consumatori moderni possono etichettare se stessi con questa formula: io sono = ciò che ho e ciò che consumo.
Erich Fromm (da: Avere o essere?)

domenica 9 dicembre 2007

Scritte e rettifiche (Palermo)

Come sono nati certi partiti già prima del "berlusconismo"

Il Fronte dell'Uomo Qualunque (UQ) fu un movimento e, successivamente, un partito politico italiano sorto attorno all'omonimo giornale (L'Uomo qualunque) fondato a Roma nel 1944 dal commediografo e giornalista Guglielmo Giannini. Il 27 dicembre 1944 viene fondato e diretto da Guglielmo Giannini un nuovo settimanale, battezzato L'Uomo qualunque. Il successo di questa pubblicazione si riscontra nelle tirature: dalle 25.000 del primo numero, si arriverà alle 850.000 del maggio del 1945. Lo scopo dell'ideatore era quello di dare voce alle opinioni dell'uomo della strada, contrario al regime dei partiti e ad ogni forma di statalizzazione. Fin dal primo numero la posizione del settimanale è chiara; contraria al fascismo, di cui condanna il centralismo decisionale, ma anche al comunismo e agli antifascisti di professione, accostati al primo fascismo per l'accento epurazionista dei primi anni del dopoguerra. Per queste posizioni ben definite il giornale viene considerato filo-fascista. Per questo motivo verrà chiesta a più voci la soppressione della testata. Il 5 febbraio 1945 Giannini viene denunciato dall'alto commissario dell'epurazione, Grieco, senza esito alcuno. Giannini, di matrice liberale e liberista, affermava: "Non esiste e non può esistere una politica di massa", come ebbe a scrivere nel 1945. L'accelerazione alla nascita di un partito di massa viene però a crearsi con il governo di Ferruccio Parri, insediatosi il 21 giugno del 1945. Il neo Presidente del Consiglio viene accusato dal settimanale di Giannini di essere inadeguato per la carica ricoperta. Il successo di questa iniziativa è tale che, spontaneamente, numerosi simpatizzanti si uniscono in gruppi definiti amici dell'Uomo qualunque, che assumono il nome di nuclei qualunquisti. Alla formazione dei nuclei qualunquisti, seguono la nascita di sedi sparse nella penisola italiana, tesseramenti e fondazioni di segreterie. In un primo momento Giannini cerca di confluire questa adesione popolare nel Partito Liberale Italiano, ma l'opposizione di Benedetto Croce fa naufragare questo progetto. A seguito di questo rifiuto, Giannini decide di fondare il suo partito. Il primo congresso del neonato Fronte dell'Uomo qualunque si tiene a Roma tra il 16 ed il 19 febbraio del 1946. Il Fronte dell'Uomo qualunque concepisce uno Stato non di natura politica, ma semplicemente amministrativa, senza alcuna base ideologica. Uno stato tecnico che funga da organizzatore di una folla e non di una nazione. Secondo Giannini per governare : "basta un buon ragioniere che entri in carica il primo gennaio e se ne vada il 31 dicembre. E non sia rieleggibile per nessuna ragione". Da questa visione ne deriva che lo Stato deve essere il meno presente nella società. L'economia deve essere lasciata totalmente ai privati in un sistema totalmente liberista. Se ciò non fosse lo Stato diverrebbe etico, e secondo Giannini da questa eticità ne deriverebbe l'oppressione del libero pensiero del singolo, fino ad arrivare ad una visione imperialista dell'organizzazione centrale. I punti cardini sono quindi:

  • Lotta al comunismo
  • Lotta al capitalismo della grande industria
  • Propugnazione del liberismo economico individuale
  • Limitazione del prelievo fiscale
  • Negazione della presenza dello Stato nella vita sociale del paese

Il 2 giugno 1946 si tengono le elezioni nazionali per la nascita dell' Assemblea Costituente. Il Fronte dell'Uomo qualunque ottiene 1.211.956 voti, pari al 5,3% delle preferenze, diventando il quinto partito nazionale, dopo la Democrazia Cristiana, il PSIUP, il Partito Comunista Italiano e l' Unione Democratica Nazionale . Vengono assegnati al partito di Giannini 30 deputati. A Parri succede alla guida del Governo Alcide De Gasperi che attacca duramente la formazione di Giannini, definendola filofascista. Oltre ai grandi partiti radicati nel territorio, anche la Confindustria guidata da Angelo Costa è ostile al Fronte dell'Uomo qualunque, per gli attacchi ricevuti da Giannini su presunti accordi tra la grande industria ed il sindacato, controllato dai comunisti. Nel 1947 il partito qualunquista ricopre un ruolo fondamentale per la nascita del terzo governo di De Gasperi. Giannini accetta l'accordo per potere estromettere sia i socialisti che i comunisti dal varo della nuova compagine governativa. Questo avvicinamento alla Democrazia Cristiana rappresenterà però la fine del successo popolare del Fronte dell'Uomo qualunque. I sostenitori delusi dal nuovo posizionamento dichiaratamente governativo abbandonano il partito. Quest'ultimo si scioglierà nel volgere di pochi anni, confluendo nelle sue componenti maggioritarie nel Partito Nazionale Monarchico e nel neonato Movimento Sociale Italiano. Il termine qualunquismo, poi rimasto nel lessico politico con evidente accezione negativa, definisce atteggiamenti di sfiducia nelle istituzioni democratiche, di diffidenza e ostilità nei confronti della politica e del sistema dei partiti, di insensibilità agli interessi generali, che si traducono in opinioni semplicistiche e sostanzialmente conservatrici sui problemi dello stato e del governo. In verità il movimento era tutt'altro che disinteressato ed insensibile alla vita politica del Paese, ma piuttosto sfiduciato dal sistema partitocratico e dallo scarso interesse che la politica mostrava verso i reali problemi della gente, dell'uomo qualunque appunto. Nella cultura francese esiste un termine analogo, poujadisme.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

domenica 18 novembre 2007

Tabella di antiche e nuove misure (Prizzi)

L'orologetto

Ve’ quest’argenteo ____ orologetto
____ ch’io tengo al petto?
Ei per man d’abile _____ umano ingegno,
_____ chiude un congegno,
Che d’ogni lugubre_____ oretta o lieta
­­­_____ giunge a la meta,
ei sa ripetere _____ ben quasi muto
_____ ogni minuto
e ti dilucida _____ de le diurne
_____ ore e notturne.
Ma, se combinasi _____ che il mero ordigno
_____ divien maligno:
mai più non mirasi _____ girar, sen muore,
_____ non segna l’ore,
però, se portasi _____ a un operaio
_____ ritorna gaio,
e come al solito _____ girar si vede:
_____ e va e riede.
Non è consimile _____ ma l’è più strana
_____ la prole umana,
se de la semplice _____ fragile vita
_____ ell’è sortita:
mai più non vedesi _____ più non si scorge
_____ non più risorge.

Giuseppe Vittorio Tirrito (Castronovo di Sicilia: 1903 - poesia inedita
 

Divieto di sosta ambo i lati (Burgio)

Un vecchio proverbio recita: "Amici e guardati!"


Intanto, al “Comando”, restarono ad operare i “personaggi fidati”. I canali che interessavano continuavano a rimanere, quindi, sotto controllo e non potevano sfuggire ad un’informativa capillare, poiché era stato predisposto tutto affinché passassero sotto vaglio i flussi di corrispondenza dell’intero comando, ma poiché il diavolo ci mette sempre la coda, accadde l’imprevisto (continua)

mercoledì 14 novembre 2007

Talvolta anche i santi traslocano (Adrano)

Scritti sempreverdi

«Buongiorno ingegne'. Bella giornata oggi, non è vero?» mi dice Salvatore mentre sto per uscire dal portone. «Non sembra proprio che stiamo a dicembre.»«Veramente bella, Salvato', quasi quasi mi levo pure il cappotto.»«E quello il Signore, come si dice, dove vede la neve, ovverosia il bisogno, spande il sole.»«Be', perlomeno quello.»«A proposito di bisogno ingegnè, adesso parlando parlando mi distraevo. Sapete che ora e'?»«Sono le nove e cinque.»«E allora devo andare a svegliare il baroncino De Filippis. Perche' non mi accompagnate un momento pure voi?»«A svegliare il baroncino De Filippis?»«Sì, ma non a casa sua. Andiamo dietro al palazzo e lo chiamiamo da sotto alla finestra, quello abita al primo piano. Voi dovete sapere che io ricevo dal baroncino De Filippis tremila lire al mese per svegliarlo tutte le mattine alle nove precise ad eccezione della domenica.»«Ma non capisco, non sarebbe più semplice per lui usare una sveglia?»«E no, ingegnere! La sveglia non sarebbe assolutamente adatta allo scopo.»«E perche'?»«E perche' adesso ve lo spiego» risponde Salvatore avviandosi verso il cortile del palazzo. «Voi dovete sapere che il baroncino studia all’Universita'. Sissignore fa Legge vuole che qualcuno lo chiami ogni mattina alle nove perché lui si deve mettere a studiare se no non si laurea.»«Ma io penso che uno alle nove potrebbe pure svegliarsi naturalmente da solo. Avesse detto le sei lo avrei potuto pure capire.»«Sì, avete ragione, pero' il baroncino e' purtroppo, come dire, un poco scafatiello (intraprendente), non so se avete capito: gli piacciono le donne» dice sorridendo con malizia Salvatore. «E cosi' va a finire che la notte si ritira alle due e qualche volta pure alle tre; e già perche' lui va a ballare alla Mela: e' veziuso (vizioso)!» «Parlando parlando siamo intanto giunti sotto la finestra dove evidentemente dorme il nostro viveur. A questo punto Salvatore, con voce bassissima, quasi un sussurro, finge di gridare:«Baroncino... Baroncino De Filippis... sono le nove... Avvocato... svegliatevi... Sono le nove.»«Ma Salvato', se non gridate un poco più forte quello non vi puo' sentire!»«E' logico ingegne' che non mi puo' sentire. Ma se io grido, il baroncino si sveglia veramente e poi se la prende con me.»«Ma allora che siete venuto a fare sotto la finestra?»«Ingegne', voi non avete capito proprio niente!» spiega pazientemente Salvatore. «Io, come vi ho detto prima, ricevo tremila lire al mese per venire tutte le mattine alle nove precise sotto alla finestra del baroncino e per fare un tentativo di sveglia, faccio il mio dovere e me ne vado. Il baroncino da parte sua, dando l’ordine di venirlo a svegliare ogni mattina alle nove, ha pure lui dimostrato, come dire, una certa buona volontà e si è messo a posto con la coscienza. Voi avete fatto da testimone. Insomma diciamo così che stiamo tutti a posto.»

Luciano De Crescenzo (Cosi' parlo' Bellavista - ed. Mondadori 1977)

lunedì 12 novembre 2007

Il vecchio e il nuovo (Caltagirone)

Il transfuga.


Negli ultimi tempi era stato molto attivo e particolarmente severo nei confronti di taluni soggetti vigilati, mai visto tanto livore. Aveva disposto affinché fossero effettuati approfondimenti per una serie d’interventi riguardanti talune problematiche ora attenzionate e di cui forse aveva appreso dettagli nel corso d’occasionali colloqui avuti durante gli incontri in salotti cittadini. Il Capocircoscrizione, che era avvezzo a frequentare l’alta borghesia e ambienti vicini alla Dogana, conosceva, infatti, molti gestori dei più distinti locali controllati e mostrava sempre interesse alle notizie che era d’uso apprendere nel corso degli incontri conviviali. Apprezzava i grandi vini ed in quel periodo mostrava un particolare “riguardo” verso i responsabili della Nuova Cantina (continua)

martedì 6 novembre 2007

Annunci a basso costo (Nicosia)

Scritti sempreverdi

E. «L'Egoismo un giorno inventò il Mercato, ovvero un meccanismo spietato nel quale l'uomo, per raggiungere la vetta, è costretto a salire sulle spalle degli altri. Chi vuol sopravvivere in questo tipo di società deve aguzzare l'ingegno e non avere scrupoli. Così facendo, diventerà ricco e, senza volerlo, finirà col far diventare ricca anche la "Polis". Pazienza se nella lotta cadranno i più deboli: il Mercato non è fatto per loro. Che si arrangino altrove!»
D. «E questa sarebbe la Destra. Detta così, non mi sembra un gran cosa!»
E. «E difatti non lo è. Dal polo opposto, però, si affaccia Eros, il Dio dell'Amore e della Solidarietà. Eros assiste i deboli e fa in modo che tutti abbiano il necessario per vivere. Sarà lo Stato, come una grande Mamma, a garantire uno stipendio in ogni famiglia. In un mondo siffatto l'uomo comune, in assenza d'incentivi, si adagia, diventa un parassita, e fa diventare povera anche la "Polis".»
D. «Oddio, nemmeno la Sinistra mi sembra che ne esca bene. A sentire te, nessuno dei due modelli risolve i problemi di una comunità.»
E. «Tutti e due insieme sì, però, sempre che siano opportunamente sorretti dal "Logos". Sarà il "Logos", infatti, ora moderando la Destra, ora incentivando la Sinistra, ad aggiustare il tiro.»
D. «A questo punto è d'obbligo una domanda: Eraclito è di Destra o di Sinistra?»
E. «Parlo, parlo, e tu non mi senti. Continui a essere qui e altrove. Il tuo problema, giovane amico, è quello di catalogarmi, e nella tua rozzezza non possiedi altri elementi di giudizio per orientarti, se non la suddivisione del mondo in Destra e Sinistra.»
D. «Ma perché: cosa ho detto di male?»
E. «Beh, se mi chiedi a quale partito io appartenga, vuol dire che non hai capito nulla di quello che ti ho detto. Appartenere a un partito equivale ad avere una fede, e io ho solo fede nel fatto di non avere una fede. La mia risposta, quindi, non può essere che questa: sono di Destra e di Sinistra contemporaneamente, giacché la Destra non esisterebbe senza la Sinistra e la Sinistra non avrebbe ragione d'essere senza la Destra. Così come le vedo io, la Sinistra crea la Destra nel medesimo tempo in cui la Destra crea la Sinistra, ma per ottenere la vera armonia è necessario che ci siano entrambe.»
D. «Ho capito: è come quando ci si fa la doccia.»
E. «Che cos'è la doccia?»
D. «E' un dispositivo idraulico per lavarsi: ha due manopole, una per l'acqua calda e una per l'acqua fredda. Manovrando, ora l'una ora l'altra, è possibile ottenere la giusta temperatura. Il problema piuttosto è un altro: chi deve manovrare le manopole?»
E. «Il Manovratore.»
D. «E non vorresti essere tu il Manovratore?»
E. «Io non sono il "Logos", e poi non ho stima dei politici. Li considero esseri inferiori: troppo sensibili alle lusinghe del Potere, del mordi e fuggi, del prendi adesso che domani è già tardi. Quale differenza con i filosofi, che hanno scelto di riferirsi alla morte!»
D. «Ma che cos'è il Potere?»
E. «E' uno di quei desideri, per il quale l'uomo è disposto a tutto, anche a pagare con l'anima. Quand'ero giovane, sono stato oplita, ho combattuto contro i Persiani. Ricordo che nella nostra falange c'era un certo Erasto che provava un vero e proprio godimento nel maltrattare i propri sottoposti. Non era un generale (comandava sì e no cinque uomini), eppure li faceva vivere in un clima di continuo terrore...»
D. «...noi uno così lo chiamiamo "caporale".»
E. «Ebbene, sai che ti dico? Che nella vita, o si è uomini o si è caporali!»
D. «Questo lo diceva anche Totò.»
E. «Un altro filosofo?»
D. «Beh, sì, in un certo senso...»
E. «Insomma, come esiste una libidine del sesso, così esiste una libidine del Potere, solo che quest'ultima è di gran lunga più forte. Ad Atene, molti anni fa, Solone, proprio per evitare che la voglia del Potere potesse impadronirsi dei politici, al posto delle elezioni introdusse il sorteggio. L'idea, a mio avviso, era giusta: che anche gli Dei si prendano le loro responsabilità nella scelta degli arconti!»
D. «Raccontami di Solone: come organizzò la Costituzione degli Ateniesi?»
E. «Divise i cittadini, in base al censo, in quattro classi distinte: i pentacosiomedimni, i cavalieri, gli zeugiti e i teti. Come a dire i ricchi, i quasi-ricchi, i quasi-poveri e i poveri. Ciascuna tribù era tenuta a proporre dieci nominativi, ed era tra questi ultimi che avveniva il sorteggio.»
E. «Si scrivevano i nomi dei candidati sulle fave e si facevano estrarre da un fanciullo bendato i nove uomini che avrebbero dovuto governare la "Polis".»
D. «E come andò a finire?»
E. «A essere sinceri, non benissimo: Solone, una volta consegnata la Costituzione, se ne andò in Egitto, e gli Ateniesi più ricchi ne approfittarono per cambiarla a proprio uso e consumo. I poveri furono subito estromessi dai sorteggi e le altre classi crearono tre gruppi di Potere...»
D. «Come dire, Destra, Centro e Sinistra?»
E. «Proprio così. La Destra era comandata da un certo Licurgo, un politico molto potente che aveva dalla sua gli uomini più facoltosi di Atene. Il Centro, invece, scelse come capo Megacle, e la Sinistra, cioè il partito dei quasi-poveri, Pisistrato.»
D. «Quindi alla fine comandò Licurgo?»
E. «No, perché nel frattempo Pisistrato si sposò con la figlia di Megacle e, una volta diventati parenti, i due si allearono e fecero fuori Licurgo.»
Luciano De Crescenzo (Tratto da: Panta Rei - Ed. Mondadori - Nov. 1994)

Senza intermediari (Isola delle Femmine)

Il popolo non fu mai definito. È una entità meramente astratta, come entità politica.


"Il popolo non fu mai definito. È una entità meramente astratta, come entità politica. Non si sa dove cominci esattamente, né dove finisca. L'aggettivo di sovrano applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutto al più, delega, ma non può certo esercitare sovranità alcuna. I sistemi rappresentativi appartengono più alla meccanica che alla morale" ................ "Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. La sovranità gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione. Vi immaginate voi una guerra proclamata per referendum? Il referendum va benissimo quando si tratta di scegliere il luogo più acconcio per collocare la fontana del villaggio, ma quando gli interessi supremi di un popolo sono in gioco, anche i Governi ultrademocratici si guardano bene dal rimetterli al giudizio del popolo stesso."

Benito Mussolini (Preludio al Machiavelli - Gerarchia dell'aprile 1924. vol. IV, pagg.109-110).

Myanmar: contemplazione e speranze.

venerdì 2 novembre 2007

Giacomo Leopardo e il problema cittadino: “LA FAVORITA”.

Il film Johnny Stecchino, felice performance dell’attore comico Roberto Benigni, individua nel traffico cittadino il principale problema di Palermo. In verità, anche se l’ironico paradosso cinematografico indica il “virus” più comune e tipico degli affollati agglomerati urbani, sono ben altre problematiche che inquinano l’inossidabile mondanità locale.
Nell’atavica ignavia di un contesto civico felicemente stigmatizzato dal romanziere Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, si alimenta una pubblica amministrazione ove prevale l’arte del tirare a campare, la raccomandazione e un’arroganza che talvolta sfiora angherie da malaffare (continua)

martedì 30 ottobre 2007

Scritti sempreverdi

La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a'capelli
del capo ch'elli avea di retro guasto.
Poi cominciò: "Tu vuo' ch'io rinovelli
disperato dolor che 'l cor mi preme
già pur pensando, pria ch'io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch'i' rodo,
parlar e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se' né per che modo
venuto se' qua giù; ma fiorentino
mi sembri veramente quand'io t'odo.
Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino,
e questi è l'arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino.
Che per l'effetto de' suo' mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
cioè come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai s'e' m'ha offeso.
Breve pertugio dentro da la Muda
la qual per me ha 'l titol de la fame,
e che conviene ancor ch'altrui si chiuda,
m'avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand'io feci 'l mal sonno
che del futuro mi squarciò 'l velame.
Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e ' lupicini al monte
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Con cagne magre, studiose e conte
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
s'avea messi dinanzi da la fronte.
In picciol corso mi parieno stanchi
lo padre e ' figli, e con l'agute scane
mi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli
ch'eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se' crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l'ora s'appressava
che 'l cibo ne solea essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti' chiavar l'uscio di sotto
a l'orribile torre; ond'io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
Io non piangea, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?".
Perciò non lacrimai né rispuos'io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l'altro sol nel mondo uscìo.
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia
di manicar, di subito levorsi
e disser: "Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia".
Queta'mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l'altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perché non t'apristi?
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
dicendo: "Padre mio, ché non mi aiuti?".
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno".
Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co'denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti.
Dante Alighieri: Divina Commedia (Inferno: Canto XXXIII)

Messaggio amoroso

lunedì 22 ottobre 2007

Dal Blog di Beppe Grillo di oggi.

"De Magistris ha messo d'accordo centro destra e centro sinistra, con l'eccezione di Di Pietro. Tutti insieme appassionatamente per salvarsi il c..o. Il centro destra ritrova in Mastella il suo Dna. Cicchitto e Casini lo adorano. E' la futura Brambilla del Sud di Berlusconi. Il centro sinistra invece tace. Prodi e Veltroni fanno il gioco del silenzio. La vecchia tattica democristiana del tirare a campare per non tirare le cuoia. Il ministro della Giustizia indagato, il ministro degli Esteri indagato, il Presidente del Consiglio indagato. Al prossimo Consiglio dei Ministri faranno una retata.
Il fratello di Borsellino mi ha scritto una lettera da far gelare il sangue.

"La notizia dell'avocazione da parte della Procura Generale dell'inchiesta Why Not al Procuratore De Magistris e' di quelle che lascia senza fiato.
Solo un'altra volta nella mia vita mi ero trovato in questo stato d'animo.
Era il 19 Luglio del 1992 e avevo appena sentito al telegiornale la notizia dell'attentato il cui scopo non era altri che quello di impedire ad un Giudice che, nelle sue indagini, era arrivato troppo vicino all'origine del cancro che corrode la vita dello Stato Italiano, di procedere sulla sua strrada.
Morto Paolo Borsellino l'ignobile patto avviato tra lo Stato Italiano e la criminalita' mafiosa aveva potuto seguire il suo corso ed oggi vediamo le conseguenze del degrado morale a cui questo scellerato patto ha portato.
Ieri era stato necessario uccidere uno dopo l'altro due giudici che, da soli, combattevano una lotta che lo Stato Italiano non solo si e' sempre rifiutato di combattere ma che ha spesso combattuto dalla parte di quello che avrebbe dovuto essere il nemico da estirpare e spesso ne ha armato direttamente la mano. Oggi non serve piu' neanche il tritolo, oggi basta, alla luce del sole, avocare un'indagine nella quale uno dei pochi giudici coraggiosi rimasti stava per arrivare al livello degli "intoccabili", perche' tutto continui a procedere come stabilito. Perche' questa casta ormai completamente avulsa dal paese reale e dalla gente onesta che ancora esiste, anche se purtroppo colpevole di un silenzio che ormai si confonde con l'indifferenza se non con la connivenza, possa continuare a governare indegnamente il nostro paese e a coltivare i propri esclusivi interessi in uno Stato che considera ormai di propria esclusiva proprietà.
Oggi basta che un ministro indegno come il signor Mastella ricatti un imbelle capo del governo, forse coinvolto negli stessi suoi luridi traffici, minacciando una crisi di governo, perche' tutta una classe politica faccia quadrato intono al suo degno rappresentante e si esercitino in conseguenza chissa' quale tipo di pressioni sui vertici molli della magistratura per ottenere l'avocazione di un'indagine e quindi l'inoffensivita' di un giudice sensa neanche bisogno del tritolo come era stato necessario per Paolo Borsellino.
Siamo giunti alla fine della Repubblica Italiana e dello Stato di Diritto.
In un paese civile il ministro Mastella non avrebbe potuto chiedere il trasferimento del Dr. De Magistris titolare dell'inchiesta in cui e' indagato il suo stesso capo di governo e lo stesso ministro.
Se la decisione del Procuratore Generale non verrà immediatamente annullata dal CSM, saremo di fronte alla fine dell'indipendenza della magistratura e in conseguenza dello stesso Stato di Diritto.
Il Presidente Giorgio Napolitano, nonostante sia stato più volte sollecitato, continua a tacere su queste nefandezze dimostrando che la retorica dello Stato e della figura istituzionale di garante della Costituzione Repubblicana non sono diventate, in questa disgraziata Italia, altro che vuote parole.
Quaranta anni fa sono andato via dalla Sicilia perche' ritenevo impossibile di vivere la mia vita in un paese in cui la legalita' era solo una parola del vocabolario, ora non ritengo piu' che sia una vita degna di chiamarsi con questo nome e quindi una vita degna di esserre vissuta quella di vivere in un paese dove l'illegalita' e' diventata la legge dello Stato." Salvatore Borsellino"

Anno di che?

venerdì 19 ottobre 2007

Attenti al lupo.


Scarpinata Assunta Serena, coniugata con Max Cavolata, tranquilla impiegata nell’industria “Blasonata Storica”, un giorno udì finalmente pronunciare da qualcuno la fatidica frase: “occhio, sono arrivati gli Ispettori”.“Era ora”, pensò però in cuor suo Assunta, continuando nel monotono tran tran quotidiano; lo stesso dissero molti colleghi del settore assemblaggio e, in un afflato all’unisono, tutto lo stabilimento si riconobbe nella pittoresca esternazione d’Innocenza Imprudente che disse: “così finalmente i capi la finiscono di rompere i coglioni con richieste d’approfondimenti, chiarimenti e precisazioni che dovrebbero far parte della loro professionalità collegata all’operatività ordinaria e che, invece - esclusivamente per loro vantaggi - riemergono come per incanto e con frenesia solo in prossimità e nel corso delle preannunciate visite” (continua)

mercoledì 10 ottobre 2007

Nostalgie (Palermo)

Scritti sempreverdi

"Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi siciliani siamo stati avvezzi da una lunga, lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva cosí non si scampava dagli esattori bizantini, dagli emiri berberi, dai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti cosí. Avevo detto adesione, non avevo detto partecipazione. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere ad un membro della vecchia classe dirigente di sviluppare e portare a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene, per conto mio credo che molto sia stato male, ma voglio dirle subito ciò che lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il la; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso."

IL GATTOPARDO (Giuseppe Tomasi di Lampedusa) PREMIO STREGA 1959

sabato 6 ottobre 2007

Divieto efficace (Palermo)

Scritti sempreverdi

«Savè, quello che tu non ti vuoi mettere nelle cervella, è che oggi essere comunista non basta» dice Salvatore. «Non significa proprio niente!»
«Ma come? Ma se tu sei sempre stato comunista!»
«E oggi non lo sono più. Mi sono spostato a sinistra.»
«Più a sinistra dei comunisti?»
«Sissignore. Mio cugino Tonino che è metalmeccanico e lavora a Sesto San Giovanni, queste cose le sa. L’ultima volta che l’ho visto mi ha spiegato per filo e per segno che adesso i veri comunisti sono solo gli extraparlamentari.»
«Quelli a Sesto San Giovanni queste cose le sanno subito, noi invece a Napoli sappiamo sempre tutto in ritardo.»
«Insomma, Savè, fatti conto che l’attuale partito comuni sta italiano praticamente sarebbe il partito socialista di prima mentre l’attuale partito socialista non è altro che l’ex partito della democrazia cristiana.»
«Tu che dici? E l’attuale democrazia cristiana che è?»
«Diciamo che è come se fosse il partito monarchico di subito dopo la guerra.»
«Gesù Gesù! E quando è successo tutto questo casino?»
«In altre parole è successo che in Italia, mentre l’elettorato si spostava a sinistra, gli eletti si spostavano a destra. Così che alla fine tutto è rimasto tale e quale a prima.»
«E questo te l’ha detto sempre tuo cugino Tonino?»
«Sì, ma pure il professore è d’accordo. Non ti ricordi che l’altro giorno ci disse che il vero pericolo che stavamo correndo era quello della borghesia che si era messa a votare per i comunisti?»
«Salvatò, io ti volevo sempre chiedere una cosa: ma chi è questa borghesia di cui si sente sempre parlare? Ogni tanto io sento dire “il proletariato deve difendersi dalla borghesia!”, “viva i lavoratori abbasso i borghesi!”; Salvatò per favore, tu mò mi devi dire chi sono questi borghesi. Quelli che non lavorano? Io per esempio che non tengo un lavoro, che sono? Lavoratore o borghese?»
«Vedi Savè il borghese è in parole povere il benpensante, quello che è contento del sistema e pensa solo a difendersi quei quattro soldi che si è messo da parte. Anche il borghese lavora, però nonostante questo è la parte peggiore della società, perché non fa nessuno sforzo per cambiare le cose. Il borghese è quello che, quando c’è uno sciopero, vuole andare a lavorare lo stesso; è quello che, quando ci fu il referendum, non voleva il divorzio perché era una novità, hai capito Savè?»
«Sissignore ed il professore che ha detto? Che la borghesia si è messa a votare per il partito comunista? Non può essere che quello il professore voleva scherzare?»
«No, non voleva scherzare, e anzi qualcosa di vero nel suo ragionamento ci sta. Insomma il professore è come se dicesse: che cosa può volere un borghese? L’ordine e la disciplina? Ora siccome in tutti i paesi comunisti pare che quest’ordine e questa disciplina ci stanno, il comunismo al borghese può pure piacere. Ma qualcun altro dice: sì d’accordo ci sarà l’ordine, però quando verrà il comunismo non potrai più avere una tua idea politica. E che me ne fotte a me di avere una idea politica, ti risponde il borghese che pensa solo ai fatti suoi. Ma ti toglieranno le proprietà! A me? A me dice il borghese non mi possono togliere proprio niente. Le proprietà le toglieranno a Lauro, ad Agnelli, no a me che tengo solamente nu quartino. E così piano piano finisce che pure i borghesi votano per i comunisti, con la piccola differenza però che il comunismo che piace a loro non è quello che piace a noi.»
«E allora ci vorrebbero due partiti comunisti diversi.»
«Bravo Saverio. Lo vedi che sei arrivato a quello che ti stavo dicendo io. Due partiti comunisti diversi: uno per i borghesi ed uno per i veri comunisti come a me e a te.»
«E come si dovrebbe chiamare questo secondo partito comunista?»
«Lotta continua. Ed io mi ci sono già iscritto. E ora voglio che ti vieni a iscrivere pure tu.»
«A Lotta continua?»
«Proprio così.
»
«Salvatò ma dimmi una cosa, ma poi deve essere per forza "continua" questa lotta?
»

COSI' PARLO' BELLAVISTA (Luciano De Crescenzo) Ed. ottobre 1976

martedì 2 ottobre 2007

Annunci (Forza D'Agrò)

Scritti sempreverdi

"Il carrozzone va avanti da sè
con le regine i suoi fanti i suoi re
ridi buffone per scaramanzia
così la morte va via
musica gente cantate che poi
uno alla volta si scende anche noi
sotto a chi tocca in doppiopetto blu
una mattina sei sceso anche tu
bella la vita che se ne va
un fiore un cielo la tua ricca povertà
il pane caldo
la tua poesia
tu che stringevi la tua mano nella mia
bella la vita dicevi tu
è un po' mignotta e va con tutti si però
però però
proprio sul meglio ti ha detto no.
E il carrozzone riprende la via
facce truccate di malinconia
tempo per piangere no non ce n'è
tutto continua anche senza di te
bella la vita che se ne va
vecchi cortili dove il tempo non ha età
i nostri sogni la fantasia
ridevi forte e la paura era allegria
bella la vita dicevi tu
e t'ha imbrogliato e t'ha fottuto proprio tu
con le regine con i suoi re
il carrozzone va avanti da sé"
Il Carrozzone (Renato Zero)

domenica 30 settembre 2007

Pasquinate (Roma)

Massimo Cacciari: risposta a domanda di Raffaele Tucci

"Dove stanno le stanze dei bottoni oggi? Soprattutto queste stanze dei bottoni sono ormai del tutto sottratte a procedure di carattere politico. Chi comanda in quelle stanze dei bottoni, ammesso anche che riusciamo ad individuare dove stanno le stanze dei bottoni, è un sistema planetario, assolutamente deterritorializzato e quindi sottratto ad ogni forma di sovranità nazionale. Gli agenti sono decisi sulla base di tutto fuorché di procedure di carattere politico. D’altra parte i problemi che abbiamo evocato sono problemi che vanno decisi, che sono decisi a livello globale. Certamente per un lungo periodo saremo ancora in presenza di Stati nazionali. Il processo di riduzione della loro sovranità sarà molto lento e, secondo me, non è un male che sia lento, perché dovremmo anche affrontare il problema del nostro adattamento a queste epocali trasformazioni. Il nostro adattamento anche mentale, psicologico. Noi stiamo vivendo, da una generazione a questa parte, in una situazione di terremoto permanente. Quindi che gli Stati nazionali, in qualche modo, resistano, anche antropologicamente e psicologicamente, al carattere esplosivo del processo di globalizzazione, economico, mercantile e finanziario, non è tutto negativo. Però è una resistenza. Dobbiamo essere consapevoli che è una resistenza: il vecchio Stato nazionale è finito. Manda ancora luce, come le stelle, morte da chissà quanto tempo, illuminano ancora, ci servono ancora di notte, ma loro probabilmente non esistono più. Quindi bisogna rendersi conto che dobbiamo immaginare, cominciare a immaginare ordini, norme, del tutto metastatuali, metanazionali. Alcuni organismi esistono, ma sono organismi sottratti ad ogni legittimazione democratica. È possibile la loro democratizzazione? Il problema non riguarda soltanto le Nazioni Unite, ma riguarda tutti gli Organismi internazionali, quelli commerciali e così via. Riguarda la Comunità Europea, che potrebbe essere il grande esempio di un organismo sovrastatale, sovranazionale dotato di effettiva sovranità e anche di una certa legittimazione democratica. Ma ha una strada lunga ancora da percorrere: al momento è un coacervo un po’ anarchico di diverse tendenze. Alla fine di questo processo cosa ci sarà? Lo Stato mondiale? Questa è un’idea che circola da due secoli a questa parte nella testa di noi europei, l’idea dello Stato mondiale. Al momento, se mai ci si arriverà, ci si arriverà probabilmente attraverso una forma di egemonia imperiale, ancora dettata sostanzialmente da Stati nazionali, ma di dimensioni imperiali. Quello che è certo è che occorre ricostruire un diritto internazionale. Il vecchio diritto internazionale, che era sostanzialmente il prodotto di patti, di accordi, tra Stati nazionali in quanto tali, non può più funzionare oggi. Questi Stati nazionali sono in crisi, quindi il diritto internazionale non può più essere il prodotto dell’autonomia, della sovranità intoccabile dei diversi Stati. Bisogna trovare una sede nella quale i diversi Stati consapevolmente arretrino nelle loro pretese di sovranità, gestendo e governando comunque la transizione che prima ricordavo e definiscano nuove norme, nuove regole internazionali. Questo è soprattutto decisivo in campo finanziario, industriale ed economico. Perché altrimenti la cosiddetta new economy, la globalizzazione, sarà il Far West. E al momento non è stato fatto, ritengo, neppure il primo passo in questa direzione. Abbiamo ancora uno spettro di diritto internazionale che era il prodotto dei vecchi Stati e che quindi non ledeva in alcun modo la loro sovranità. Oggi abbiamo un grande problema di un diritto internazionale che incida effettivamente sulla sovranità di diversi stati. In particolare in materia economica, in materia di scambi commerciali, in materia finanziaria. Su questo con difficoltà già si procede. C’è anche il grande esempio delle produzioni ecocompatibili. Ma io credo che in quella direzione faticosamente si procederà. Dove sarà la grande difficoltà, la grande resistenza? In materia di scambi commerciali, tecnologici, di rapporti industriali, finanziari, controllo finanziario. Lì sarà la grande querelle”.

da: INTERVISTA A MASSIMO CACCIARI - LA POLITICA. TORNIAMO A DISCUTERNE?

giovedì 27 settembre 2007

Pasquinate (Roma)

Scritti sempreverdi

E anche i privilegi più insopportabili, quelli che fanno ribollire il sangue, non appartengono affatto al passato. Lo dimostra platealmente la presenza nel Parlamento italiano, nella legislatura iniziata nel 2006, di 6 siciliani che ogni mese portano a casa non solo lo stipendio da deputato ma anche, come ex consiglieri regionali, un sontuoso vitalizio dell’ARS, l’Assemblea Regionale Siciliana, dai 3 agli 8000 euro e mezzo. Sono il margheritino Franco Piro, i forzisti Giovanni Ricevuto e Giuseppe Firrarello, il nazional-alleato Nino Strano e i diessini Vladimiro Crisafulli e Angelo Capodicasa, che incassa anche lo stipendio di viceministro alle infrastrutture e passa quindi in carrozza i 25.000 euro al mese. Tutta colpa, dicono, di un buco nei regolamenti parlamentarti siciliani. Ma come,direte voi, vogliono farci credere di non essersene accorti? Esatto. Al punto che la loro reazione, alla domanda sul perché non avessero segnalato l’ingiustizia di questo privilegio, somiglia alla risposta che diede un architetto palermitano quando gli chiesero perché diavolo avesse costruito la grande piscina olimpionica, rimasta chiusa per anni, senza l’impianto di riscaldamento. Si battè una mano sulla fronte e disse: “Minchia: m’u scurdai!”

da: LA CASTA – Così i politici italiani sono diventati intoccabili (Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella) ed. 2007

mercoledì 26 settembre 2007

Avviso antinvadenza (Palermo)

Scritti sempreverdi

"II pensatore di punta del mondo occidentale è considerato oggi Karl Popper che ha scritto: «Affermo che noi viviamo in un mondo meraviglioso. Noialtri occidentali abbiamo l'insigne privilegio di vivere nella migliore società che la storia dell'umanità abbia mai conosciuto. E la società più giusta, più ugualitaria, più umana della storia».
Ma questo non è un filosofo liberale, è una domestica liberale. «Tutto va ben madama la marchesa».
Lo scontro del futuro non sarà quindi fra destra e sinistra, fra un liberalismo trionfante e un marxismo morente - questo lo sappiamo - ma non sarà nemmeno quello «scontro di civiltà» fra Occidente e Islam preconizzato dallo studioso americano Samuel Huntington.
Il terrorismo alla Bin Laden sarà, con tutta probabilità, una parentesi - magari una lunga parentesi - che aiuterà l'Occidente a rafforzare la propria egemonia, a completare il delirio dell'unico modello mondiale, assorbendo, integrando, innocuizzando, ghettizzando, distruggendo ogni altra cultura, Islam compreso.
Non ci saranno guerre di civiltà perché ne rimarrà una sola, la nostra. Ma è all'interno di questa che awerrà lo scontro vero, il più drammatico e violento: fra le élites dominanti fautrici della modernità e le folle deluse, frustrate ed esasperate, di ogni mondo, che non ci crederanno più, avendo compreso, alla fine, che lo spirito faustiano, lo spirito dell'Occidente, opera eternamente il Bene ma realizza eternamente il Male."
da: II vizio oscuro dell'Occidente - Manifesto dell'Antimodernità (Massimo Fini) ed. 2002

martedì 25 settembre 2007

Quando l'eccessiva disponibilità induce a locare (Palermo)

Scritti sempreverdi

Qual è la differenza tra uno scandalo e un pettegolezzo? Oh! Il pettegolezzo è gradevole! La storia è soltanto pettegolezzo. Ma lo scandalo è un pettegolezzo reso noioso dalla moralità. Un uomo che moralizza è di solito un ipocrita, e una donna che moralizza è invariabilmente scialba.
(Aforismi di Oscar Wilde)

lunedì 24 settembre 2007

Indici di gradimento su parcheggi riservati (Roma)

Scritti sempreverdi

E. «Volendo diventare primo ministro, il politico si rende conto che ha bisogno di un seguito, e che questo seguito lo può ottenere solo appropriandosi di un'Idea.»
D. «Tipo la Libertà, oppure il Progresso?»
E. «Proprio così: Libertà, Fraternità, Eguaglianza, funzionano sempre, l'una vale l'altra. Le Idee altro non sono che Grandi Pretesti da sbandierare al momento opportuno. Di solito, quelli che riscuotono più successo sono Dio, Nazione e Giustizia. Nascono così i movimenti religiosi, le spinte nazionalistiche e i partiti cosiddetti socialisti.»
D. «E il popolo non si accorge di essere truffato?»
E. «Prima o poi Dike piomberà addosso a coloro che foggiano e testimoniano menzogne.»
D. «Chi è Dike?»
E. «E' la Giustizia.»
D. «Beh, da noi, a parte qualche rara eccezione, Dike interviene con un certo ritardo. Nel frattempo, però, il Grande Pretesto ha avuto tutto il tempo per fare arricchire i suoi fedeli.»
E. «Sì, ma i Grandi Pretesti da soli non bastano a formare un partito di massa: è necessario anche un nemico. Il popolo più è ignorante e più ha bisogno di un nemico su cui indirizzare l'odio.»
da PANTA REI (Luciano De Crescenzo) ed. novembre 1994

sabato 22 settembre 2007

Ballatd of a Thin Man

Ballata di un uomo sottile.

Tu cammini nella stanza con la tua matita in mano, vedi qualcuno nudo e dici "Chi è quell'uomo?".
Provi in tutti i modi ma non capisci proprio quello che stai dicendo quando torni a casa,
perchè qui sta succedendo qualcosa, ma tu non sai cos'è, vero mister Jones?
Sollevi la testa e domandi "E' questo il posto?" E qualcuno ti indica e dice "E' suo!" E tu dici "Cosa è mio?" E qualcun altro dice "Dov'è cosa?" E tu dici "Oh mio Dio! Sono proprio solo qui!"
Ma qui sta succedendo qualcosa e tu non sai cos'è, vero mister Jones?
Porgi il tuo biglietto e vai a vedere il fenomeno da baraccone che subito viene verso di te quando ti sente parlare e dice "Come ci si sente ad essere un tale mostro?" E tu dici "Impossibile!" quando egli ti porge un osso
e qui sta succedendo qualcosa ma tu non sai cos'è, vero mister Jones?
Tu hai molti contatti tra i taglialegna, per ottenere i tuoi fatti quando qualcuno attacca la tua immaginazione ma nessuno ha alcun rispetto e comunque tutti si aspettano che tu dia un assegno deducibile dalle tasse ad organizzazioni di carità.
Sei stato con i professori e sei piaciuto a tutti; hai discusso con grandi uomini di legge, di lebbrosi ed imbroglioni. Hai letto tutti i libri di F.Scott Fitzgerald, sei un uomo molto istruito, è risaputo.
Ma qui sta succedendo qualcosa e tu non sai cos'è, vero mister Jones?
Bè, il mangiatore di spade viene da te e poi si inginocchia si fa il segno della croce, poi sbatte i suoi tacchi alti e senza avviso ti chiede come ti senti e dice "Eccoti la tua gola indietro grazie per il prestito!"
E tu sai che qui sta succedendo qualcosa ma non sai cos'è, vero mister Jones?
Ora tu vedi questo ometto orbo che grida la parola "ORA!"
E tu dici "Per quale motivo?" E lui dice "Come?" E tu dici "Cosa significa questo?" E lui ti urla dietro che sei una vacca "Dammi del latte oppure vai a casa!"
E tu sai che qui sta succedendo qualcosa ma non sai cos'è, vero mister Jones?
Bè, tu cammini nella stanza come un cammello e poi aggrotti la fronte, ti metti gli occhi in tasca e metti il naso sul pavimento: dovrebbe esserci una legge che ti impedisca di circolare dovrebbero farti indossare auricolari,
perchè sta succedendo qualcosa e tu non sai cos'è, vero mister Jones?

Ballata di un uomo sottile (Bob Dylan)

venerdì 21 settembre 2007

Cambi, ricambi, evacuazioni ........... (Cefalù)

Articolo pubblicato sull'Unità del 10.09.07

Ma quale antipolitica
di Marco Travaglio

A vedere i telegiornali di regime, cioè praticamente tutti, sabato a Bologna e nelle altre piazze non è successo niente (molto spazio invece al matrimonio di Baldini, l’amico di Fiorello). A leggere i giornali di regime (molti), il V-Day è stato il trionfo dell’«antipolitica», del «populismo», del «giustizialismo» e del «qualunquismo». In un Paese che ha smarrito la memoria e abolito la logica, questa inversione del vocabolario ci sta tutta: la vera politica diventa antipolitica, la partecipazione popolare diventa populismo, la sete di giustizia diventa giustizialismo, fare i nomi dei ladri anziché urlare «tutti ladri» è qualunquismo.
E infatti, che il V-Day fosse antipolitico, populista, giustizialista e qualunquista, lorsignori l’avevano stabilito prim’ancora di vederlo, di sapere che cos’era. A prescindere. Non sapevano e non sanno (non c’erano) che per tutta la giornata, in 200 piazze d’Italia e all’estero, migliaia di giovani dei Meet-up grilleschi hanno raccolto 300 mila firme (ne bastavano 50 mila) in calce a una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede il divieto per i condannati di entrare in Parlamento, il tetto massimo di due legislature per i parlamentari e la restituzione ai cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti sulla scheda elettorale. Cioè hanno esercitato un diritto previsto dalla Costituzione, quello di portare all’attenzione delle Camere tre questioni «politiche» quant’altre mai. E l’hanno fatto con l’arma più antica e genuina di ogni democrazia: la manifestazione di piazza.
Quella piazza che, quando la occupano Berlusconi e Bossi e Casini e Mastella per chiedere cose incostituzionali, tutti invitano ad «ascoltare». E quando la occupano un milione di persone senza etichette né bandiere (tante erano mal contate, sabato, da Bologna a New York, se alle 20 i firmatari della petizione erano 300 mila, altrettanti erano ancora in fila a mezzanotte e molti di più avevano desistito per fare ritorno a casa) diventa un obbrobrio da ignorare e rifuggire.
Mentre, nel V-Day after, riparto da Bologna per tornare a casa, chiamo Beppe Grillo per commentare a mente fredda: lui mi racconta, ridendo come un pazzo, che gli ha telefonato il suo vecchio manager, «Cencio» Marangoni, per dirgli che a Villanova di Bagnacavallo c’è ancora la fila ai banchetti. E a Villanova di Bagnacavallo sono quattro gatti, perlopiù di una certa età, e chissà come han fatto a sapere che c’erano i banchetti visto che non l’ha detto nessuna tv e quasi nessun giornale. Ma se a Villanova di Bagnacavallo si firma ancora, forse questa non è antipolitica: questa è superpolitica. È antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di 24 pregiudicati e un’ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori e prescritti? È antipolitica chiedere di restituire la sovranità al popolo con una legge elettorale qualsiasi, purchè a scegliere gli eletti siano gli elettori e non gli eletti medesimi? È antipolitica pretendere che la politica torni a essere un servizio che si presta per un limitato periodo di tempo (dieci anni al massimo), dopodichè si torna a lavorare o, se s’è mai fatta questa esperienza, si cerca un lavoro come tutti gli altri? È antipolitica chiedere rispetto per i magistrati e dire grazie a Clementina Forleo e ai giudici indipendenti come lei? Chi era a Bologna in piazza Maggiore, o in collegamento nel resto d’Italia e all’estero, ha visto decine di migliaia di persone restare in piedi da mezzogiorno a mezzanotte. Ha sentito Grillo chiedere il superamento «di questi» partiti, i partiti delle tessere gonfiate, dei congressi fasulli, delle primarie dimezzate (vedi esclusione di Furio Colombo, Di Pietro e Pannella), della legge uguale per gli altri; smentire di volerne creare uno nuovo; e rammentare che gli «abusivi» da cacciare non sono ambulanti e lavavetri, ma politici e banchieri corrotti o collusi. Un economista, Mauro Gallegati, spiegare i guasti del precariato in un mercato del lavoro senza mercato e senza lavoro. Un grande architetto come Majowiecki illustrare i crimini cementiferi che i suoi colleghi seminano per l’Italia e per l’Europa con la complicità di amministratori scriteriati, e le possibili alternative verso un modo «leggero» di pensare e costruire città e infrastrutture. Alessandro Bergonzoni spiegare la partecipazione democratica con una travolgente affabulazione («Chi è Stato? Io sono Stato»). Un esperto di energie alternative come Maurizio Pallante raccontare quel che si potrebbe fare nel settore ambientale ed energetico al posto di inceneritori, termovalorizzatori, centrali a carbone e treni ad alta velocità per le mozzarelle. I ragazzi di Locri lanciare l’ennesimo grido di dolore dalla Calabria della malavita e della malapolitica. Il giudice Norberto Lenzi rischiare il procedimento disciplinare per avvertire che il berlusconismo è vivo e lotta insieme a noi, anche a sinistra. Sabina Guzzanti prendere per i fondelli la deriva fuffista e conformista dell’informazione. I genitori familiari di Federico Aldovrandi raccontare, in un silenzio misto a lacrime, la tragedia del figlio morto due anni fa durante un «controllo di polizia». Massimo Fini tenere una lezione sul tramonto della democrazia rappresentativa citando Kelsen, Mosca e Pareto. Il giornalista Ferruccio Sansa sintetizzare la sua inchiesta sul «tesoretto» da 100 miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, dei videopoker e altri giochi, una mega-evasione fiscale scoperta dal pm Woodcock e dalla Guardia di Finanza, ma coperta da incredibili silenzi governativi.
Alla fine ho parlato anch’io: ho ricordato Lirio Abbate minacciato dalla mafia; ho cercato di spiegare che la tolleranza zero deve cominciare, come nella New York di Giuliani, dai mafiosi e dai corrotti, non dai lavavetri e dagli ambulanti; e ho difeso Cofferati, che avrà tanti difetti, ma non quello di partire dai poveracci, visto che prima ha preteso legalità dagli imprenditori sullo Statuto dei lavoratori. Ho fatto parecchi nomi e cognomi, come tutti gli altri sul palco di piazza Maggiore. Ora scopro che fare i nomi sarebbe «qualunquismo»: e parlare in generale per non dire niente, allora, che cos’è?

P.S. Ho trascorso l’intero pomeriggio sotto il palco e sul palco, e mai ho sentito parlare non dico «contro» Marco Biagi, ma «di» Marco Biagi. Il nome «Marco Biagi» non è mai strato citato per esteso. S’è parlato un paio di volte della legge 30 che abusivamente il governo Berlusconi intestò al professore assassinato, che non poteva più ribellarsi, mentre un ministro di quel governo lo chiamava «rompicoglioni». E ne ha parlato Grillo per chiedere di riformarla, insieme alla legge Treu, aggiungendo che però «il vero problema non sono neppure le leggi: è che in Italia non c’è lavoro». Lo dico perché un amico, l’ex giudice ora assessore Libero Mancuso, che nessuno ha visto alla manifestazione, ha parlato di presunte «offese a Biagi». Posso assicurare che se qualcuno, dal palco, avesse davvero mancato di rispetto a Marco Biagi, su quel palco nessuno di noi, nemmeno Grillo, sarebbe rimasto un minuto di più.

martedì 18 settembre 2007

Quando la metti come vuoi ..... ma risulti sempre ...... (Gibellina)

Protocollo d'intesa sulla riforma pensionistica.

Quasi tutte le parti attrici del recente accordo negoziale sulla previdenza hanno giudicato - anche con i diversi distinguo - sostanzialmente giusto il compromesso raggiunto per il superamento della “legge Maroni”, con una riforma più equa e trasparente.

Tenuto conto che, in mancanza dell’articolato applicativo, l’accordo ad oggi è ancora alquanto nebuloso, allo scopo di rendere più comprensibile l’effetto reale delle novità si propone lo schema che sintetizza i principali criteri che si andrebbero ad introdurre.

Tab. A

Parametri nuovi riforma

decorrenza

vigente

01.01.08

01.07.09

01.01.11

01.01.13

durata

18 mesi

18 mesi

18 mesi

24 mesi

età minima

57

58

59

60

61

anzianità

35

35

36

36

36

quote

92

93

95

96

97


Da subito si ha modo di osservare come, più che a criteri omogenei ed oggettivi, la riforma s’ispiri ad alchimie, quasi certamente legate a proiezioni contabili basate sulle evidenze degli archivi INPS; con regole che allargano o restringono tempi/età/quote in funzione di risultati prefissati da raggiungere (e comunque, secondo uno scadenziario “di uscite di cassa”).

Paradossalmente, mentre l’iniqua “legge Maroni” (discutibili i 60 anni d’età, ma chiaramente deliberato il vincolo) introduceva un chiaro “scalone”, con un criterio oggettivo e stabile nel tempo (anche tenuto conto degli ulteriori incrementi d’età anagrafica, fissati ed oggettivi), la riforma in discussione rappresenta l’elaborato di un “machiavellismo aritmetico” che non pone al centro il destinatario della riforma (il lavoratore) bensì insegue e persegue il raggiungimento di un prefissato “arido equilibrio finanziario”, con parametri instabili e crescenti.

Lo stesso Prodi, che qualche giorno fa aveva anticipato di avere individuato risorse che avrebbero permesso di modificare l’iniqua legge, trionfante ha poi proclamato che l’intera riforma è stata definita senza alcun ulteriore esborso od onere: poiché la matematica non è un’opinione è da chiedersi, se la torta è sempre la stessa, si è sicuri di aver introdotto criteri oggettivamente più equi?

Le parti sociali si sono rese realmente conto dei costi-benefici? Forse c’è un po’ di disinformazione!

Inoltre, poiché i recenti provvedimenti adottati per l’innalzamento dei minimi pensionistici attingono “a regime” alle stesse disponibilità INPS (dopo l’una tantum conferito attraverso il c.d. tesoretto l’onere ricadrà interamente sulle casse previdenziali), insorge il sospetto che nel complesso “abaradan” partorito dai ministeri finanziari siano pure compresi detti nuovi “propagandati” oneri (che resteranno a carico esclusivo del mondo del lavoro). Di ciò nessuno ha preso spunti e men che meno ha evidenziato i risvolti.

Qualcuno potrà obiettare che gli adeguamenti riguarderanno coloro che hanno versato contributi lavorativi, in verità permane quella confusione fra previdenza e assistenza che ha portato al collasso l’autonomo equilibrio del sistema previdenziale.

Ritornando ai nuovi criteri previdenziali riassunti nella tabella “A”, si ha comunque modo di evidenziare incongruenze ed iniquità discriminanti, accentuate anche dall’età anagrafica dei soggetti interessati.

Risulta del tutto evidente che, al di là di qualunque criterio che si intende adottare, che consideri cioè l’età anagrafica, gli anni di contribuzione o la combinazione di entrambi (quota), è fondamentale che questo rimanga il più possibile stabile ed eventualmente univocamente progressivo. Una giusta progressione graduale e qualunque possibile equità dipendono, infatti, dalla stabilità nel tempo di qualunque nuovo criterio.

Dalla lettura della tabella A invece si evince invece che:

1) il primo adeguamento risulta eccessivamente morbido rispetto ai più forti presupposti che si prevede di introdurre solo 18 mesi dopo. Pur avendo di fatto innalzato di un solo anno la quota (da 92 a 93) attraverso l’innalzamento dell’età minima a 58 anni, si rileva che vengono mantenuti per ben 18 mesi detti parametri.

2) Dal primo luglio 2009, invece, non solo è previsto un incremento di due anni della quota (da 93 a 95), in pratica ottenuto sia con l’innalzamento del vincolo dell’età minima di accesso (59 anni) che l’aumento del minimo degli anni di contributi (36), ma viene prevista un’identica durata dei nuovi parametri richiesti (18 mesi); ciò nonostante l’incremento dei parametri è doppio rispetto al passaggio 2007-2008 (+1 anno di età anagrafica e + 1 anno di contributi versati).

3) Come d’incanto, dall’1.01.2011, si ripropone un addolcimento parziale nel nuovo scaglione (quota 96); pur registrandosi l’incremento a 60 anni dell’età anagrafica minima per poter accedere al pensionamento, il mantenimento degli anni contributivi (36) associata alla medesima ampiezza-durata per i nuovi paletti (18 mesi) mostra una palese iniquità di metodo rispetto al periodo precedente.

4) Ancor più addolcito appare il criterio applicato dall’1.01.2013 che, innalzato di un ulteriore anno per l’età anagrafica minima (61), porta a 97 la quota definita e per la durata di ulteriori 24 mesi (otto mesi in più rispetto a prima).

Alla fine risulta del tutto evidente come il compromesso raggiunto sembra più rivolto a conseguire un provvedimento politico volto ad accattivarsi consensi elettorali nell’immediato che ad introdurre criteri equi, che fissino parametri univoci che, al di là del divenire più penalizzanti, assicurino la necessaria trasparente gradualità dei provvedimenti.

In sintesi: senza ombra di dubbio è chiaro come, in pratica, più che introdurre scalini univoci ed armonizzati (indipendentemente dall’eventuale inasprimento progressivo), ci si prefigge di introdurre una temporanea “finestra di esodo” per i primi diciotto mesi (dall’1.1.2008, pur avendo innalzato di un anno l’età anagrafica per l’accesso alla pensione di anzianità si mantiene eccessivamente ampio il periodo di vigenza: almeno rispetto al successivo scaglionamento). Risulta, infatti, maggiormente rigido il "nuovo scalone" avente decorrenza 1° luglio 2009 (che passa da quota 93 a quota 95 e, per di più con l'ulteriore vincolo dell’età anagrafica). Dall’1.01.2011, tornerebbe ad attenuarsi la gradualità degli effetti restrittivi.

Appare, peraltro, anche evidente - dalla lettura della tabella A - il fatto che oltre ad adottare sistemi non omogenei, innalzando apparentemente solo di un anno l’età anagrafica degli aspiranti pensionandi, resta anche un forte condizionamento di rigide date di decorrenza.

Inoltre, una qualunque quota dovrebbe prevedere l’individuazione dei periodi attraverso somme oggettive (ad esempio: quota 95 non è solo il risultato della somma 59+36, ovvero 60+35, ma anche di periodi frazionati quali ad esempio 59,5+35,5 ovvero 60,4+34,6). Infine il voler “persistere” con le “finestre” d’esodo (vincolo artatamente adombrato) costituisce un ulteriore onere a carico del lavoratore; ritardando la decorrenza dell’effettiva applicabilità dei criteri di calcolo.